Catavignus, figlio di Ivomagus

 

 

CATAVIGNUS, figlio di IVOMAGUS

Siamo lieti di condividere con voi l’interessante studio realizzato dal dott. Stefano Marchiaro, Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria “Paolo Graziosi” di Firenze, in collaborazione con Gianfranco Bongioanni, membro della nostra associazione culturale, presentato il 29 ottobre 2019 al convegno "Armes et Guerriers: Continuités et changements dans l'équipement du guerrier en Europe, au Proche et Moyen-Orient de l'Âge du Bronze au Moyen-Âges" tenutosi all'Institut d'Art et d'Archéologie de Michelet di Parigi.

Tale indagine, in seguito ad un accurato lavoro di studio e sperimentazione, ha permesso di ricostruire l’abbigliamento e l’armamento di Catavignus, soldato romano di origini celtiche che prestò servizio nella Cohors III Britannorum, raffigurato su di una stele in calcare rivenuta a Cuneo nel 1866.

 

Riportiamo il poster presentato e la ricostruzione dell'abbigliamento nelle immagini allegate, a seguire la traduzione del testo in italiano.

2019, Stefano Marchiaro e Gianfranco Bongioanni, "La mazza come arma offensiva delle truppe ausiliarie romane: la stele funeraria di Catavignus"

LA STELE DI CATAVIGNUS FIGLIO DI IVOMAGUS

Una stele in calcare ritrovata a Cuneo (Piemonte, nord Italia) nel 1866 ci porta a riesaminare l’impiego della clava come arma offensiva all’interno delle truppe ausiliarie romane.

Si tratta dell’iscrizione funeraria di Catavignus, figlio di Ivomagus, un soldato romano di origini celtiche, probabilmente britanniche, che prestò servizio nella Cohors III Britannorum, un’unità ausiliaria normalmente di stanza in Retia, e che morì nei pressi dell’attuale Cuneo dopo soli sei anni di servizio militare.

I bordi della stele sono delimitati da un listello danneggiato in più punti, mentre la zona riservata all’immagine del soldato e quella destinata all’iscrizione sono divise da una fascia orizzontale.

Le chiare e ben definite lettere dell’iscrizione contrastano con l’approssimazione del rilievo nella parte superiore, dove le aree a fianco della figura non sono state ribassate al livello del piano di sfondo.

Sebbene lo stato di parziale finitura della scultura, gli elementi del costume militare romano sono ben riconoscibili:

Catavignus pare indossare la paenula, il tipico poncho portato dai soldati romani in campagna, mentre sulle spalle si distinguono delle ptéryges, forse parte di un subarmalis o di una qualche protezione leggera.

Sulla spalla destra, un lungo gladio con pomo sferico è appeso a tracolla per mezzo di una cinghia, e dallo stesso lato, impugnato con la mano destra, è rappresentato un oggetto che è stato riconosciuto come una clava.

Purtroppo lo stato di conservazione e la semplicità della raffigurazione, soprattutto nella metà sinistra del torso, rendono di difficile lettura l’anatomia del braccio sinistro ed il riconoscimento di altri eventuali elementi della panoplia o del vestiario.

La presenza di quest’epigrafe in Italia settentrionale è problematica; in un primo momento la datazione del testo è stata ricondotta all’età antonina (à les Antonins) sulla base di tracce epigrafiche della presenza della cohors III Br(itannorum) nel diploma militare bavarese datato al 106-107 d.C. e in un’iscrizione da Eining / Abusina in Raetia, del 103 d.C.

Successivamente, sulla base di un passo di Tacite (Historiae I, 70), si è anticipata la realizzazione dell’iscrizione agli eventi militari del 69 d.C. inerenti alla guerra civile successiva la morte di Nerone. Nell’inverno del 69 d.C. infatti, coorti di Gaulois, di Lusitaniens, di Bretons e alcuni distaccamenti di cavalleria furono chiamati nella Gaule cisalpine occidentale dal legato vitelliano Aulus Cæcina per andare a rafforzare i presidi nelle città occupate della Traspadana (Milano, Novara, Ivrea e Vercelli).

L’IMPIEGO DELLA MAZZA NELL’ ESERCITO ROMANO

Le armi da botta in materiale organico non sono tradizionalmente una delle componenti della panoplia da guerra del soldato romano, tuttavia erano invece spesso utilizzate dai militari romani nelle operazioni di controllo della folla e di polizia cittadina.

Queste armi erano di fatto dei bastoni, dritti o leggermente incurvati, detti abitualmente fustes (fustis sing.) utilizzati prevalentemente dai soldati delle coorti urbane e dai vigiles per sopprimere tumulti senza ricorrere alle uccisioni, solo come estrema ratio venivano infatti usate armi letali contro la popolazione civile.

Certe volte confuso con il vitis, il bastone in legno di vite designate il rango di centurione, il fustis è rappresentato in diverse stele funerarie provenienti da Roma, Achaïe, e Maurétanie. Talvolta compare

anche nelle stele di alcuni beneficiarii, rappresentato associato alle tavolette di cera necessarie per la registrazione dei tributi, probabilmente quale strumento di status militare e mezzo di “facile persuasione”.

Più complesso è l’argomento dell’uso delle armi da botta durante le operazioni belliche vere e proprie. Poche infatti sono le testimonianze letterarie ed iconografiche dell’uso di questa tipologia di armi dalle legioni romane, o dalle coorti ausiliarie, in combattimento.

Solo un altro monumento funerario, datato alla seconda metà del II secolo d.C., rinvenuto a Sparta, mostra un soldato di origini greche, Marcus Aurelius Alexys, raffigurato con una pesante clava impugnata con la mano destra, che non può essere ricondotta ad un fustis, per dimensioni e struttura dell’arma e per le caratteristiche del soldato che la brandisce.

Alexys infatti era un militare che prese parte, e vi trovò la morte, alle campagne militari di Caracalla del 214-217 d.C. contro i Parthes, che per l’occasione arruolò truppe da Sparta e dalla Laconia (Hérodien, Histoire des empereurs romains de Marc Aurèle à Gordien III, 4.8.3), ed in nessun modo associabile ad incarichi di polizia o guarnigione.

Sebbene sia stato ipotizzato un semplice valore simbolico della clava rappresentata sulla stele, quale riferimento alla discendenza degli spartani da Eracle, sembra più verosimile considerarla un elemento integrante della panoplia di un soldato specializzato nell’affrontare nemici corazzati quali la cavalleria catafratta partica.

La funzione tattica di truppe leggere armate di clava è attestata dalle fonti antiche, prevalentemente di periodo tardo, dove la necessità di contrastare efficacemente truppe pesantemente corazzate, virtualmente immuni al tiro dei giavellotti e alle spade, era diventata una priorità dei comandanti romani.

Zosime per esempio identifica la clava ed il bastone come arma scelta dai soldati palestinesi di Aurelian per contrastare la cavalleria corazzata di Zenobia.

Le fanterie leggere armate di armi da botta (clave, mazze o bastoni) combattevano probabilmente in ordine aperto, come schermagliatori, capaci di scansarsi all’urto della cavalleria pesante orientale e colpire in movimento gli assalitori.

Anche Constantin Ier impiegò soldati armati di mazze di legno rinforzate con chiodi di ferro per contrastare i clibanarii di Maxence durante la battaglia di Torino del 312 a.C., in quanto la forza sprigionata da queste armi al momento dell’impatto rendevano meno efficace la pesante corazzatura del nemico.

Iconograficamente la clava appare anche sulla colonne Trajane, dove figure barbute e a torso nudo, armate di clava e scudo, compaiono in sei scene, sempre associate ad altri reparti ausiliari dell’esercito romano (plance XXVII, XXIX, L, LI, LXXIII, LXXX, LXXXVI della nomenclatura di Cichorius).

Questi reparti possono essere ricondotti a numeri germanici integrati nell’esercito di Trajan.

Nelle rappresentazioni echeggia forte lo stereotipo romano del barbaro feroce e selvaggio, e per questo inferiore al legionario/cittadino, che va in guerra nudo e armato di armi primitive e brutali. Gli artisti addetti alla realizzazione della colonna non erano familiari con le truppe in campo e con i dettagli dell’armamento delle diverse unità, quindi queste immagini possono anche non essere una fedele ricostruzione degli ausiliari germani, ma piuttosto un’interpretazione romana dell’idea di germano, dove la componente barbarica risulta estremizzata.

L’AUSILIARE CATAVIGNUS : PERCHE LA SCELTA DELLA MAZZA?

Nonostante il gladio sia un'arma più veloce, letale e di facile utilizzo, la clava, sebbene più lenta, è un oggetto di facile reperibilità, lavorazione e sostituzione, in grado di comportare sostanziali danni anche a bersagli pesantemente corazzati vista la maggior forza d’impatto ed allungo.

Arma economica, era relativamente semplice equipaggiare con clave contingenti di ausiliari non addestrati al combattimento in ranghi serrati, ma piuttosto abituati – per formazione personale o retaggio culturale – alla lotta in schieramenti aperti e mobili. L'ausiliario britanno Catavignus, con il suo equipaggiamento composto da gladio, subarmalis, ma soprattutto dalla peculiare clava, trova contesto ed espressione all'interno di un panorama di guerre civili dove i nemici non erano più barbari, ma soldati romani addestrati alla lotta in formazione e protetti da ampi scudi e da pesanti loricae metalliche, più vulnerabili ai possenti colpi di clava inferti da sfuggenti truppe leggere piuttosto che agli affondi dei gladi o al lancio dei giavellotti.

LA RICOSTRUZIONE SPERIMENTALE

Sì è deciso per la riproduzione della clava della stele al fine di testarne le capacità e di ipotizzarne la reale efficacia in un contesto bellico. Facendo riferimento alle dimensioni ed essenze lignee dei reperti ritrovati (Tollense e Alken Enge) e alle informazioni pervenuteci dalle fonti antiche, sì è optato per un tronchetto di quercia rettilineo della lunghezza di un metro ed un diametro di 9 cm.

Eliminate le estremità che presentavano imperfezioni si è provveduto allo scortecciamento dello stesso tramite accetta ed in seguito è stato sagomato tramite coltello tenendo a risparmio la testa percussiva che presenta 25 cm di lunghezza e 7,5 cm di diametro. La parte restante è stata sagomata con andamento rastremante verso l'estremità inferiore dell'impugnatura che è stata lavorata in una forma di sezione ellissoidale simile ai manici di ascia. La parte più spessa dell'impugnatura presenta larghezza massima di 3 cm. L'oggetto finito ha lunghezza di 87 cm e 1420 g di peso ed è stato realizzato in 4 ore. Nonostante il peso non eccessivo la forma dell'arma ne sposta il baricentro a 60 cm dal tallone dell'impugnatura aumentando quindi in maniera sensibile la forza d'urto. L'arma risulta utilizzabile anche a mano singola, ma necessita di spazio per poter caricare il colpo sfruttando una torsione di anca e spalla per esprimere il pieno potere impattante. Si suppone quindi che venisse utilizzata in formazioni aperte e i test effettuati suggeriscono che un oggetto di questo tipo sia in grado di provocare fratture ossee comparabili con i traumi riportati sui reperti di Tollense.

NOTE E BIBLIOGRAFIA

Nelle stele funerarie di soldati romani si osserva un’accurata distinzione nella rappresentazione del vitis, simbolo dell'autorità e strumento punitivo del centurione, impugnato quasi come uno scettro, ed il fustis, impugnato all’estremità, rivolto verso il basso, come un’arma pronta per essere impiegata.

Si è ipotizzato un legame tra queste truppe ed il corpo dei mattiarii, tante volte testimoniato nella Notitia Dignitatum sia d’Occidente che d’Oriente, che prende il nome dall’arma che lo caratterizza, tuttavia non è sicuro che quest’arma sia la clava.

Verosimilmente la panoplia difensiva di Catavignus comprendeva anche uno scudo in legno, imprescindibile vista anche la mancanza di corazzature pesanti.

Almeno dal I secolo d.C. era già in uso presso le legioni la lorica detta segmentata che offriva un’eccellente protezione dalle armi da taglio e da punta.

 

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